I DOTTORI SONO BUONI QUI, E I TOPI ANCHE, E GLI INFERMIERI. NON MI POSSO LAMENTARE.
POTREI ESSERE CHIUSO NEL GUSCIO DI UNA PICCOLA NOCE E SENTIRMI IL RE DELL'UNIVERSO, MA FACCIO BRUTTI SOGNI, E POI SENTO SEMPRE QUELLE MALEDETTE VOCI DAGLI SCARICHI, CHE NON TACCIONO.

lunedì 12 dicembre 2011

Balada triste de trompeta (Ballata dell'amore e dell'odio), di Alex de la Iglesia

 In Spagna è uscito alla fine del 2010, da noi è stato annunciato diverse volte e chissà se davvero si decideranno a mandarlo nei cinema a carnevale 2011. Il titolo si ispira ad una ballata cantata da Rafael, cantante spagnolo: Balada de la trompeta. Ed è l'ennesima geniale follia del regista spagnolo Alex de la Iglesia, vincitore del Leone d'argento a Venezia come miglior regia. Come ogni opera di genio è imperfetta, imperfetta perchè strabordante, barocca, eccessiva, ma è cinema allo stato puro. Fotografia, regia ed interpretazioni che s'incastrano alla perfezione e sono, esse stesse, perfette. Certamente un film culto. Il film comincia con l'interruzione di uno spettacolo di un circo da parte delle truppe Repubblicane che reclutano a forza ogni adulto presente, uno dei quali è il Pagliaccio Allegro, quello che fa ridere i bambini. Segue scena delirante in cui il Pagliaccio corre menando fendenti con una spada e facendo a pezzi i franchisti che, però, per sua sfortuna, vincono e lo prendono prigioniero. Il Pagliaccio lascia suo figlio Javier ad arrabattarsi solo nella vita di tutti i giorni, a vivere un dolore dietro l'altro, primo tra tutti l'esistenza priva di libertà sotto una dittatura, e privo di padre. Il figlio non potrà così diventare il Pagliaccio allegro, come suo padre, perchè si porta dentro un fardello troppo pesante di sofferenze, ma diventerà il Pagliaccio Triste, il contraltare del ruolo del padre. Divenuto adulto riuscirà ad entrare in un circo scalcinato a coronare il suo sogno, ma qui si scontrerà col Pagliaccio Allegro, Sergio, uno psicopatico dispotico fidanzato di Natalia, la trapezista dolce e sottomessa, incapace di ribellarsi alla violenza cieca del compagno che, nonostante tutto (forse) ama, o crede di amare. Da qui in avanti si sviluppa una trama melodrammatica e barocca eccessiva, a tratti violenta, che gioca tutto sulla contrapposizione bene-male ed amore-odio dove, però, gli estremi finiscono inevitabilmente per confondersi e divenire pericolosamente simili. I due pagliacci si contederanno la bella Natalia come una preda, ciechi di volontà di possesso l'uno e di amore l'altro. po Una selvaggia cavalcata un po' pulp lungo la storia recente della Spagna (assistiamo in diretta all'attentato spettacolare a Carrero Blanco, vedi film Ogro) dove Natalia è la Spagna e Sergio e Javier sono le forze che se la contendono, senza esclusione di colpi, senza valutare le conseguenze delle loro azioni.



E' un film sull'amore e sulla follia ma è pure, e anzi, soprattutto, un film sulla guerra civile e sulla follia e sull'amore che questa sottende. Il circo scalcinato è la società spagnola, un po' imbambolata, un po' sognatrice e un po' eroica nella propria stoica coerenza, ma comunque incapace di mettere fine alla folle disputa.




Ci sarà chi lo adorereà e chi lo odierà, questo film, proprio per le sue caratteristiche intrinseche, ma rimane un enorme atto di amore verso la Spagna e la sua storia recente. Per quanto incredibile possa sembrare, la stessa storia avrebbe potuto portarla al cinema Almodovar, con modi diversi, ma credo sempre con risultati eccellenti (in fondo è un drammone melodrammatico un po' folle). E' sintomatico come gli autori spagnoli si confrontino spesso con la storia franchista e col periodo della guerra civile, e come spesso la facciano toccando corde inaspettate (ad es.: La spina del diavolo, Il labirinto del fauno), e con risultati non di rado ottimi. Una capacità di rischiare che il cinema nostrano pare aver ormai perso.
   La canzone portante della colonna sonora è Corazòn contento, di Marisol, che si fonde alla perfezione con una delle scene che è già una scena simbolo del film.




N.B.: non male la scena in cui Javier, Pagliaccio Triste ormai folle, morde la mano al generalissimo Franco!

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  • Ballata dell'odio e dell'amore INFORMAZIONI

  • TITOLO: Ballata dell'odio e dell'amore
  • TITOLO ORIGINALE: Balada triste de trompeta
  • GENERE: Commedia, Guerra, Dramma
  • ANNO DI DISTRIBUZIONE:

Carlos Areces ...
Javier
Antonio de la Torre ...
Sergio
Carolina Bang ...
Natalia

Manuel Tallafé ...
Ramiro

martedì 6 dicembre 2011

Madonne che piangono (madonna come piangono!)


Certa gente, diciamocelo, sarebbe meglio non vederla piangere, non per altro, ma perchè in fondo a noi non ne viene in tasca niente e a loro, a questa cosiddetta certa gente, neppure. Ce ne stiamo spaparanzati nella Galleria Colonna ad aspettare di sapere di che morte morirà il popolo italiano di qui a poco e quindi, in un certo senso, anche noi, e tutto ciò che possiamo aspettarci é qualche domanda insulsa da parte dei giornalisti presenti. Come volevasi dimostrare, ne giungono a vagonate, di domanda idiote. Fin qui nulla di strano, tutto normale. Sono tranquillo perchè in fondo conosco bene l'acquario in cui mi sto muovendo e i pesci che vi bazzicano. Un paio dei presenti sono chiaramente sotto effetto di sostanze psicoattive, e almeno sei o sette sono impegnati a sbirciare la biancheria intima delle colleghe, anche di quelle oggettivamente inguardabili. Tra questi, il sottoscritto. Non è che ci sia di meglio da fare. I restanti continuano a guardarsi attorno smarriti, con la stessa espressione ebete e preoccupata stampata in volto che hanno messo su dal 16 Novembre, vale a dire da quando si sono ritrovati senza più sapere a chi portare l'osso. Caduto il governo dell'uomo di Arcore, già tessera 1816 della loggia massonica P2 (da qui in avanti indicato semplicemente con la sigla T1816), schiere sterminate di imbrattacarte e occupavideoatradimento si sono trovate senza più un punto di riferimento. Traduzione: e adesso? Chi sarà il nuovo padrone? Ovviamente a nessuno di questi geni è passato per la testa anche solo in un lampo repentino di lucidità che, forse, questa é l'occasione propizia per sciogliere il guinzaglio e correre liberi per i campi infiniti della " libera informazione di un grande paese democratico ". La libertà, giura chi ci si è trovato di fronte, fa paura. Ti tremano le ginocchia, cominci a balbettare e a sudare (si suda in questi casi un po' freddo e un po' caldo, in sequenza). Comunque, a parte un paio di giornaliste già conosciute ed apprezzate per l'aspetto estetico della loro professionalità, per il resto non c'é molto da guardare. Posso assicurarlo. Sempre meglio però che alzare lo sguardo e piantarlo di fronte. Dietro un catafalco terribile ed oscuro, di una pesantezza insostenibile, la linea di attaccanti formata da Mario Monti (da qui in avanti indicato, per semplicità, come MM) se ne sta fissa e pronta a massacrare il paese. Penso, non è un gran problema, questo è un paese che è abituato a farsi massacrare. Dirò di più, pare esserci portato. Negli ultimi ultimi vent'anni, questo paese di ritardati, massoni, chierici, piduisti, mafiosi e paramafiosi, generali golpisti e presentatori televisivi è parso addirittura provare un sinistro godimento del trattamento degradante cui è stato sistematicamente e sadicamente sottoposto. Mentre seguo svogliato la scena mi viene da pensare a Luana Englaro, a quelle immagini selvagge di gente che brandiva bottigliette d'acqua sotto la finestra dove la poveretta stava finalmente ponendo fine alle sue sofferenze. Sul cellulare mi arriva la notizia che è morto Socrates, il tacco di Dio, o qualcosa del genere se ben ricordo, una specie di intellettuale di sinistra prestato al calcio ed alla cerveza. In quel momento, non so perchè, non chiedetemelo, ho la certezza che rincarerà tutto, che sopraggiungeranno nuovi balzelli, per qualche istante mi balenano davanti agli occhi le immagini di quanti da qui in avanti si getteranno dalla finestra di casa, di quanti si appenderanno al lampadario del salotto, di tutti quelli che soffocheranno moglie e figli per poi spararsi un colpo in bocca, di tutti quelli che si impegneranno in qualche gesto inconsulto e definitivo perchè incapaci di rincorrere ancora la speranza, e ho la certezza dicevo, la certezza assoluta, che la Chiesa non verrà toccata, che i grandi patrimoni non verranno toccati se non marginalmente ed in maniera del tutto superifciale ed inadeguata. Chi finirà in disgrazia e avrà il polso sufficentemente fermo per non andare ad ingrossare le fila dei suicidi, farà la fila alla Caritas, chinerà il capo, e ringrazierà pure Santa Madre Chiesa per il piatto di minestra calda. Non so, ma mi pare di intravvedere una forma di conflitto di interessi. La Chiesa non versa il suo obolo allo Stato (date a Dio quel che è di Dio e a Dio quel che è di Cesare) e come per miracolo si ritrova una legione di fedeli cenciosi da tenere per i coglioni con la balla della carità cristiana. A questo punto incappare nell'immagine del ministro Fornero che piange perchè - immagino - prova vergogna a dover annuciare ai soliti quattro gonzi che saranno loro, come al solito, a prenderla in quel posto (culo), diventa una conseguenza naturale e quasi liberatoria. Voglio dire, solo un mese fa non sarei stato capace di immaginare l'esistenza di gente al potere in questo "paese che sembra una scarpa" capace di provare vergogna. E in effetti avrei sbagliato. Hanno distrutto lo statuto dei lavoratori, si sono fatti regalare case a loro insaputa, hanno immaginato chilometrici tunnel percorsi a velocità folle da neutrini non meglio precisati, hanno scambiato una minorenne marocchina per la nipote del primo ministro egiziano, hanno insultato i precari, hanno ruttato e mostrato il dito medio alle telecamere, hanno inciuciato con P3, P4, con Lavitola, si sono fatti portare ragazze da Tarantini, hanno baciato mani a dittatori, hanno fatto il segno delle corna in foto ufficiali, hanno annunciato di fondare un partito a sostegno della vagina, hanno fatto rientrare soldi portati illecitamente fuori dal paese con tassi che nemmeno Mediaworld sotto Natale e un sacco di altre delicatezze che ora sul momento non mi sovvengono, e sempre senza provare il minimo senso di vergogna. Nemmeno un accenno di rossore sulle guance. Allora, ho pensato che la cosa migliore sarebbe stata tornare a dare voti alle curve del culo delle colleghe giornaliste che stavano sostenendo una sforzo sovrumano per non collassare dal sonno. I voti, tra l'altro, si sà, sono il sale della democrazia.