I DOTTORI SONO BUONI QUI, E I TOPI ANCHE, E GLI INFERMIERI. NON MI POSSO LAMENTARE.
POTREI ESSERE CHIUSO NEL GUSCIO DI UNA PICCOLA NOCE E SENTIRMI IL RE DELL'UNIVERSO, MA FACCIO BRUTTI SOGNI, E POI SENTO SEMPRE QUELLE MALEDETTE VOCI DAGLI SCARICHI, CHE NON TACCIONO.

martedì 29 dicembre 2009

El caso de la mano cortada


Il 19 Gennaio del 1954, all’età di 42 anni, muore, in calle de la princesa, 72, a Madrid, Margot, impiegata presso l’Isituto Nazionale di Previdenza di Albacete, nonché figlia di Margarita Ruiz de Lihory, marchesa di Villasante e baronessa di Alchaly.
Era caduta malata nell’Agosto del 1953, quando viveva insieme ad un’amica, che la ospitava da più di anno. Fu l’amica stessa, tale Herminia Harteaga Hernanedz, ad avvertire la madre, per telefono, della malattia della figlia.
La contessa Margarita Ruiz de Lihory, all’epoca risiedeva in Madrid, in calle de la princesa, 72, e mandò a prendere la figlia per averla presso di sé, a Madrid appunto. Già in Albacete, dove viveva, Margot era stata visitata da diversi medici, che avevano rilasciato delle diagnosi opposte, chi diceva che non si trattava di nulla di grave e chi sosteneva che fosse malata mortalmente. Considerando ciò che avvenne il 19 Gennaio dell’anno successivo, sembra chiaro che la seconda schiera di medici avesse effettivamente ragione da vendere. Comunque, il 6 di Settembre Margot venne trasferita in macchina a Madrid da due medici (teniamoli a mente, ci torneremo) presso la madre, che la fece sottoporre all’analisi di diversi dottori, tra i migliori specialisti dell’epoca.
Non ci fu nulla che tornò utile alla sua guarigione, e a Gennaio, il 19 del 1954, alle 12 e 45, Margot appunto morì. Pace all’anima sua.
Fin qui, nulla di strano, a parte la natura della malattia che la portò alla morte che rimase sostanzialmente sconosciuta.
Ciò che trascinò la vicenda a divenire assurda, più che strana, e a salire agli onori della cronaca, alle prime pagine dei giornali nazionali, fu la denuncia alle autorità che presentò uno degli altri tre figli maschi della marchesa di Villasante, accorsi al capezzale della sorellastra in fin di vita. Il 30 di Gennaio, infatti, ai giudici giunse una segnalazione in cui il giovane denunciava che il cadavere della sorella Margot era stata mutilato, precisamente di una mano, dei due occhi e della lingua. Le autorità, ritenendo l’accaduto quantomeno singolare, decisero di aprire un’inchiesta.

Nel mese di Maggio del 1971 un americano, tale William Rumsey, presunto agente della Cia, che si fa passare per uomo di scienza e cattedratico, affitta una stanza, la 402, presso l’Hotel Emperador, sito nel centro di Madrid. Da qui invia a diversi indirizzi di Albacete, cittadina non distante dalla capitale, la seguente lettera:

Gentilissimi Signori,
La presente lettera ha come motivo di chiederVi informazioni che per me rivestono un gran valore, e che saranno remunerate adeguatamente nel caso in cui mi portino ad indizi che sto cercando di reperire.
Nell’anno 1952 e nei seguenti mesi, nell’immobile ubicato in Calle Mayor di Albacete, al numero civico 58 (immobile oggi demolito e al cui posto oggi esiste una nuova costruzione) e che appartenne a D.na Margarita Ruiz de Lihory y Resino, con il titolo nobile: Baronessa di Alcahalì, moglie del Sr. Shelly, entrambi ormai deceduti. Abitarono nel medesimo immobile due uomini, medici di professione e di nazionalità danese, ivi invitati da questa signora, che durante un numero indeterminato di mesi e mentre D.na Margarita risiedeva in un’altra città, occuparono alcune stanze del citato immobile, facendo vita molto ritirata: alcuni vicini sapevano della loro presenza, ma poiché uscivano dalla casa solo di notte ho potuto raccogliere solo poche informazioni al loro riguardo.
Mi informano che i figli di D.na Margarita Ruiz de Lihory non conoscevano la loro identità, poiché la madre non li mise mai a conoscenza del loro soggiorno e degli esperimenti istologici di tali scienziati.
Un’altra nota, sebbene non certa, riferisce che almeno uno di questi signori si trasferì riservatamente a Madrid, dopo che la figlia della signora, D.na Margot Shelly, venisse trasportata, gravemente ammalata, nella capitale di Spagna. In qualsiasi caso, questi uomini di scienza abbandonarono Albacete prima che il Giudice ordinasse la requisizione e l’ispezione dell’immobile.
Il motivo di questo mio desiderio è conoscere il domicilio di questi dottori, tanto in Danimarca quanto in Spagna, per ottenere appunti complementari riguardo certi importanti studi di fisiologia animale realizzati dagli stessi.
Sono disposto a mettere a disposizione una donazione di 1.000 dollari, al cambio 69.000 pesetas, a chi mi fornisse l’informazione che mia permetta di localizzare questi medici, dal momento che dovrebbe essere possibile che qualche residente in Calle Mayor abbia stretto conoscenza con gli stessi.

Accettino i miei più sentito saluti,

Se siete in possesso di informazioni, per favore, inviatele a questo indirizzo:
Mr. W. Rumsey.
Room 402 Hotel Emperador.
Avda. José Antonio, 53 SPAGNA
MADRID-13.

Pare che nel 1970 sia giunta alla sede della Cia di Madrid una lettera, inviata in fotocopia poi anche a diversi altri enti, come alla associazione Erinadi (associazione di studi cosmologici) che s’interessava di oggetti non identificati, quelli che noi italiani chiamiamo ufo e gli spagnoli ovni, associazione sempre di Madrid, nella quale si sosteneva che tra gli anni 1950 e 1952 sarebbero atterrati nel sud della Francia e in Spagna dei presunti extraterrestri, tali Ummiti, provenienti da un pianeta chiamato Ummo, che sarebbero entrati in contatto con certi umani al fine di portare avanti degli esperimenti di vario ordine. Pare che l’agente Rumsey sia stato inviato in Spagna in seguito al ricevimento di tale lettera, evidentemente presa sufficientemente sul serio dalla sede centrale della Cia americana.
In questa lettera si faceva accenno precisamente al caso registratosi in Albacete, Calle Mayor 58 e conclusosi in Madrid, Calle de la princesa 72.
Nessuno, da Albacete, a quel che è dato sapere, rispose mai all’agente Rumsey. In compenso, i servizi segreti spagnoli, che nacquero col nome di “Circolo 30”, per poi divenire S.E.C.E.D., in seguito C.E.S.I.D., e attualmente C.N.I., negli anni ‘70 aprirono un fascicolo sul caso Ummo-Cia, e dunque investigarono su chi aveva investigato sul presunto caso degli Ummiti.
Come prima cosa giunsero ad avere conferma, grazie alle testimonianze dirette del personale dell’epoca dell’Hotel Emperador di Madrid, che in effetti nelle date tra l’11 e il 15 di Maggio 1971, un uomo nordamericano che si faceva passare per mister William Rumsey, aveva alloggiato all’hotel in questione, stanza 402. Quest’uomo, dunque, nel 1971, cioè a molti anni di distanza dai presunti fatti in questione (1952-1954), aveva attraversato l’oceano col compito di trovare testimonianze della presenza di due medici, o scienziati, o alieni che si facevano passare per scienziati, o medici, dall’aspetto nordeuropeo, che avrebbero alloggiato nella casa di Calle Mayor 58, ad Albacete, di proprietà della marchesa Margherita de Lihory durante l’anno 1952 e fino ad inizio Febbraio dell’anno 1954. Pare, da altre verifiche presso il personale e i registri dell’hotel, che il signor Rumsey, dopo essersi allontanato il 15 di Maggio, sia tornato presso l’Emperador tra l’1 ed i 5 di Giugno del medesimo anno, alloggiando nella stanza 425, per poi far perdere definitivamente le proprie tracce. Sembrerebbe logico presumere che, durante la prima visita, il presunto agente della Cia abbia tastato il terreno e inviato la lettera sopra riportata e in seguito sia tornato per verificare se avesse ricevuto una qualche risposta. Risposta che, appunto, sembrerebbe non essergli giunta affatto.

Il C.E.S.I.D., i servizi segreti spagnoli, quindi, approfondirono il misterioso caso degli Ummiti atterrati in Spagna, (espediente numero 1, documento 24) caso che puzzava di leggenda urbana lontano chilometri.

Dal 1965 una serie di professionisti spagnoli, ingegneri, medici e funzionari, residenti principalmente in Madrid e Barcellona, ricevettero per posta degli studi su fogli fotocopiati che trattavano di fisica, cosmologia, viaggi spaziali, sociologia, biologia, astronomia, diritto e altro. Gli studi riportati nelle lettere davano l’impressione di essere stati scritti da persone di un certo livello culturale, e non mancavano di una loro originalità, a volte spingendosi verso concetti che, all’epoca, si potevano ritenere ai limiti della conoscenza scientifica e che in qualche maniera rischiavano di sconfinare nella vera e propria fantascienza. Gli autori di queste missive pretendevano di essere giunti da un ipotetico pianeta chiamato “ UMMO ”, distante all’incirca 14 anni luce dalla Terra. Secondo le loro dichiarazioni, avrebbero organizzato una incursione sul nostro pianeta, con fini pacifici si, ma scientifici, per studiare la struttura fisico chimica del nostro globo, nonché la vita animale e umana, così come anche la natura del nostro ambiente religioso, morale e socio economico. Compito peraltro piuttosto ambizioso.
L’avanguardia esplorativa di Ummo, che si sarebbe trasferita da una lontano posizionamento di navi spaziali in qualche punto non specificato del sistema solare, o giù di lì, secondo il più classico sistema spannometrico, sarebbe sbarcata nel sud della Francia nel 1950.

L’affaire Ummo balzò agli onori della cronaca a partire da alcune dichiarazioni che fecero il giro del mondo, riportate nel 1968 dal quotidiano ABC di Siviglia e dallo scrittore Carlos Murciano, e attraverso il reverendo P.D. Enrique Lopez Guerrero, parroco di Mairena del Alcor (Siviglia). Qualcosa in seguito apparve in un libricino dai vaghi intenti divulgativi intitolato “ UMMO, un altro pianeta abitato “, scritto da Fernando Sesma.
Le medesime lettere sarebbero state ricevute non solo in Spagna, ma anche in Germania, Francia, Stati Uniti, Canada e Australia, ovviamente tradotte nella lingua di ognuno di questi paesi.
Fu nella lettera ricevuta nel 1968 da padre Lopez Guerrero che i presunti Ummiti fecero cenno ad un loro ricovero presso una gentile signora di Albacete, durante il quale avrebbero realizzato studi psicofisiologici con numerosi animali di proprietà della “gentil dama”.
In seguito, nel 1970, la associazione Erinadi, già citata, che si occupava di studi ufologici, ricevette a sua volta una lettera, fotocopia di quella ricevuta dalla sede della Cia di Madrid, nella quale si raccontava come due ummiti avessero vissuto, fino al 2 di Febbraio 1954, presso la proprietà della marchesa Margarita de Lihory, proprietà sita in Calle Mayor 58, ad Albacete, portando avanti studi sugli animali della marchesa.
La casa in questione, dove la marchesa e alcuni famigliari erano soliti trascorrere alcuni periodi durante l’anno, era normalmente abitata dalla figlia di primo letto della marchesa, Margot, che vi viveva. Nel 1952, pare, Margarita de Lihory, avrebbe chiuso casa, dal momento che la figlia nel mentre si sarebbe trasferita a casa dell’amica Herminia Harteaga Hernanedz, dipendente presso la Fabbrica di Mosaici Carbajal, in Albacete.
Dunque, dal 1952 al 1954, la casa di Calle Mayor sarebbe stata teoricamente libera di ospitare i due presunti ummiti. Due presunti ummiti, si evince, in tutto simili a persone nord europee.

Torniamo al 19 Gennaio 1954, data della morte di Margot. Il corpo viene seppellito 48 dopo la morte e il 21 Gennaio alle ore 11 si celebra il funerale.
Il 20 di Gennaio si verifica un fatto singolare. Margarita e il suo compagno Josè Maria Bassols (dopo aver lasciato il marito Ricardo Shelley, padre di Margot nonché di Luis, Josè Maria e Juan, la marchesa s’era riaccompagnata con l’avvocato catalano Josè Maria Bassols che, a sua volta, già aveva quattro figli), con ancora il cadavere della figlia – e figliastra – insepolto, uscirono di casa e vi tornarono con più di 100.000 pesetas dell’epoca, una bella somma, sostenendo di averle vinte alla lotteria.
Il 30 Gennaio, col cadavere già inumato da nove giorni, un fratello di Margot denuncia alle autorità la mutilazione del corpo della sorella. Ne segue una investigazione di polizia, condotta dagli ispettori e dagli agenti Fernandez Rivas, Alcocer, Gallego, Ruiz, Barroso, Ojeda e Ares, che esaminarono la casa, trovando in un contenitore per il latte la mano destra di Margot. A quel punto venne esumato il cadavere, sottoposto ad autopsia dal dottor Benigno Velazquez e dal dottor Eduardo Blanco Garcia. Evidentemente i due medici non potranno che constatare le mutilazioni e da qui in avanti si aprirà il procedimento a carico di Margarita de Lihory, Marchesa de Villasante e Baronessa de Alchaly, e del compagno Josè Maria Bassols che si concluderà diversi anni dopo, il 25 di Aprile del 1964, con un non luogo a procedere nei confronti dei due imputati per mancanza di prove fattuali a carico degli imputati. Cioè, il fatto è accaduto, si tratta di un fatto criminoso, e parecchio inquietante, ma non si sa chi siano i colpevoli, dal momento che non esistono prove sufficienti ad incriminare i sospettati.

Durante il procedimento giudiziario vennero ascoltati numerosi testimoni, tra cui i domestici delle varie case in possesso della marchesa, compresa la proprietà di Albacete, i parenti, e alcune persone intervenute nella casa di Calle Mayor per portare il loro ultimo saluto a Margot. Da queste testimonianze si giunse alla conclusione che erano presenti, tra la morte di Margot e la sua sepoltura, altre due persone, due uomini, indicati come due medici, di aspetto nord europeo, cioè sufficientemente alti, biondi, dagli occhi e dalla pelle chiari. Dei due medici, o presunti tali, si perse ogni traccia.
Questi due individui che secondo le lettere misteriose sarebbero stati ummiti, sarebbero stati gli stessi due medici che accompagnarono in macchina Margot da Albacete fino a Madrid, e che da allora sarebbero sempre stati presenti attorno al suo capezzale, in qualità, appunto, di medici.

I documenti stilati dai servizi segreti spagnoli, C.E.S.I.D., riportano un lungo elenco di persone da interrogare, partendo dai domestici, fino ai vicini di casa e a tutti coloro che in qualche maniera avrebbero avuto a che fare con la marchesa, con la figlia o con la casa di Albacete, ma più in là questi documenti non si spingono. In certi punti, in realtà, sembrano essere stati coperti da censura e certe pagine artatamente manipolate, in particolare quando si giunge a formulare alcune ipotesi investigative.
La prima prevede che effettivamente furono presenti nella casa di Albacete, nel periodo sopracitato, due individui dalla identità sconosciuta, proprio come viene affermato nelle lettere ummite. In questo caso si dovrebbe approfondire anche la possibilità della veridicità dell’ipotesi extraterrestre, dal momento che, se vera, sarebbe un chiaro segnale di pericolo per la sicurezza interna della Spagna. I due individui potrebbero però essere semplicemente terrestri, come ovviamente probabile, e a quel punto potrebbero o meno essere invischiati nella morte di Margot e nelle mutilazioni, e anche in questo caso andrebbe approfondita la loro posizione, anche se non si tratterebbe più di sicurezza nazionale e, in fin dei conti, potrebbe riguardare persone assolutamente estranee ai fatti e totalmente aliene da qualsiasi comportamento contro la legge.
Una seconda ipotesi prende in considerazione il caso che non siano mai esistiti due individui misteriosi residenti nella casa della marchesa e che dunque non ci fossero di mezzo né extraterrestri, né medici nordeuropei, né altro. Rimarrebbe comunque la questione delle mutilazioni al corpo di Margot.

…In entrambi due casi la sostanza dei fatti contiene in sé sufficienti elementi tali da giustificare un profonda investigazione riguardo… (questo estratto dai documenti ufficiali si interrompe a questo punto essendo la pagina tagliata apparentemente con un paio di forbici. Da qui in avanti non sappiamo più nulla riguardo ai dubbi e alle ipotesi dei servizi segreti spagnoli)

Il caso ovviamente non appena giunse alla stampa, assunse da subito una rilevanza assoluta e nazionale, e divenne in poco tempo l’argomento preferito della stampa stessa, sia di quella più seria e tradizionale che di quella di stampo sensazionalista, e della pubblica piazza. La gente conobbe questo caso, i suoi accadimenti, e lo svolgimento del processo come “Il caso della mano mutilata”, in spagnolo “El caso de la mano cortada“.

I diversi testimoni sentiti durante il processo, specialmente i domestici delle varie case della marchesa, riportarono le numerose stranezze della donna, soprattutto riguardo i propri animali che trattava alla stregua di persone, cosa piuttosto rara, se non proprio strana, per l’epoca. Possedeva all’incirca una sessantina di cani, più altri animali, divisi nelle varie case che possedeva tra Barcellona, Madrid e altri centri, come appunto Albacete. Quando per qualche tempo chiudeva una casa in favore di un’altra, lasciava l’incarico a qualche domestico o a qualche amministratore di badare al loro sostentamento. Pretendeva che i suoi cani fossero nutriti nella medesima maniera dei suoi domestici che dovevano, ai cani, assoluto rispetto.

Quando uno dei cani moriva, veniva svuotato degli organi interni e poi sepolto nel giardino. In casa esistevano stanze, ed armadi, alle quali nessuno tranne la marchesa e il suo compagno Bassols avevano accesso, neppure la più fidata servitù. In alcuni di questi armadi, in queste stanze inaccessibili, vennero ritrovati durante le indagini organi interni di animali, e piccoli scheletri e teschi, sempre di animali, presumibilmente dei suoi amati cani passati a miglior vita.

Ma chi era in realtà Margarita de Lihory, presunta marchesa di Villasante e baronessa di Alchaly?

Margarita Ruiz de Lihory y Resino, nacque a Valencia tra il 1888 e il 1893, anche se lei ha sempre sostenuto di essere nata nel 1893 (la data di nascita non è facile da determinare dal momento che non esiste un famigliare diretto che possa sollecitare e aver accesso a un Certificato di Nascita,) figlia di Don José Maria Ruiz de Lihory e di D.na Soledad Resino de la Bastida.
Suo padre, il Barone di Alcahalì, fu governatore civile di Mallorca, sindaco di Valencia e deputato nelle Corti nel 1904, scrisse un libro intitolato “Gli indemoniati di Balsa”. Grande appassionato di musica, scrisse altre due opere, una raccolta che vinse i giochi floreali del 1894, e anche un’enciclopedia della musica valenziana, nel 1904. Era interessato ai temi esoterici e potrebbe essere stato iniziato a qualche loggia massonica in Valenza. Morì in questa città nel 1920, lasciando due figlie, Soledad e Margherita, e nessun figlio maschio.
Si suppone che Margarita avesse 17 anni, secondo quanto riportano le cronache, considerando come data di nascita il 1893, quando si sposò con Ricardo Shelly, valenzano di nascita, ma con ascendenze irlandesi, dal quale ebbe quattro figli, Luis, Margot, Josè Maria e Juan. Il signor Shelly s’innamorò in seguito di un’altra donna e lasciò D.na Margarita, senza peraltro formalizzare la separazione e successivamente, suo malgrado, morì, nel 1941.
Margarita visse cinque anni a Parigi, e dopodiché si insediò definitivamente in Spagna. Durante questo periodo di tempo, così come durante i suoi viaggi, fu la nonna materna che si fece carico dell’educazione dei suoi figli.
Nel 1937 conobbe il prestigioso avvocato catalano D. Josè Maria Bassols Iglesias, secondo di nove fratelli. Era già sposato e aveva quattro figli. Avvocato di gran fama, il suo studio fu il più prestigioso della Ciudad Condal. Lavorò come assistente giuridico di importanti aziende e ricoprì la carica di vicepresidente della Metro di Barcellona e consigliere della Società della Tranvia. Amante della vita sociale, spesso, prima della guerra, organizzava nella sua proprietà di Sitges feste movimentate che erano solite contare tra gli invitati uomini di cultura e belle donne. L’avvocato Bassols si innamorò immediatamente di Margarita, e si separò da sua moglie per sposarsi in cerimonia civile con la Marchesa dopo aver divorziato grazie alle nuove leggi in materia matrimoniale appena approvate dalla Repubblica, anche se il loro matrimonio non sarà mai considerato valido, dal momento che Margarita risultava ancora legalmente sposata col primo marito (che all’epoca, fottendosene altamente di leggi presenti e future, l’aveva lasciata così su due piedi, senza nulla di scritto e legalmente valido).
I rapporti di Bassols con Margot Shelley furono sempre eccellenti, allo stesso modo che con gli altri tre figli della marchesa, da come si deduce dagli elogi che gli attribuiscono in diverse lettere.
I figli di Margarita lo descrivono però come intrappolato dalla personalità avvolgente e spiraliforme della madre.
Pare che tanto Bassols come la sua famiglia fossero grandi appassionati di scienze occulte - mania abbastanza comune all’epoca, e forse in tutte le epoche tranne, forse, la rivoluzione francese - e possedessero una gran biblioteca sul tema dello spiritismo.

Margarita Ruiz fu una donna eccezionale e precorritrice della sua epoca, per molte ragioni. Infermiera di professione, aveva studiato due anni di medicina a Valenza, e oltreché aver studiato e imparato varie lingue, sapeva suonare il piano, dipingeva a pastello e, successivamente, si laureò in Diritto, prima donna in Spagna, giungendo alla laurea in soli due anni.
Fu una delle prime donne a ottenere la patente per la macchina. Nonostante questo, quantomeno quando viveva in Albacete, si raccontava che tenesse spesso allertato una carrozza trainata da cavalli davanti alla porta di casa sua anche per ventiquattro ore consecutive, tanto i suoi continui spostamenti e i suoi viaggi erano totalmente imprevedibili. Pare facesse anche una gran quantità di spostamenti in taxi.
Aveva una buona rete di conoscenze, e tra le sue influenti amicizie si conta ad esempio quella con Miguel Maura, Ministro del Governo agli albori della Seconda Repubblica, con il quale ebbe una relazione intima, e che si mosse affinché le venissero concessi alcuni incarichi di tipo benefico, nello stesso periodo in cui stava conseguendo il patentino da giornalista, che in seguito le sarebbe stato di grande utilità.
Se la cavava con disinvoltura in qualsiasi ambiente a livello internazionale grazie alla sua amplia cultura ed educazione, oltreché alla sua intelligenza.
La si può trovare a Cuba, Messico, New York, Washington o Boston, scrivendo per riviste, tenendo conferenze e organizzando esposizioni in gallerie di arte con quadri falsi realizzati da un pittore amico suo e che lei firmava come se ne fosse stata l’autrice, cosa che le portò una certa fama oltre a rilevanti entrate economiche. Di fatto, ricevette l’incarico da alcuni tra i più importanti dirigenti politici dei paesi che visitò nelle sue tournee, affinché dipingesse loro il ritratto.
Fu chiamata la Mata Hari spagnola poiché lavorò per i servizi di spionaggio della Germania o, quantomeno, otteneva con frequenza scambi di informazioni, a favore dalla Spagna, inizialmente, con Primo de Rivera, che conobbe quando era Capitano Generale di Valencia, con il quale intrattenne una relazione anche questa “ molto intima “, e che successivamente le chiese di prestar servizio come spia nel periodo in cui il servizio segreto spagnolo era chiamato Circolo 30 che lavorava fondamentalmente nel nord Africa, soprattutto nella zona del Rif.
Andò in Marocco come corrispondente della Guerra d’Africa – e forse come spia - e i suoi spettacolari reportage fotografici furono riconosciuti e ammirati in quanto sapevano mostrare tutta la crudezza della guerra. Uno dei suoi contatti in loco era un militare chiamato Francisco Franco al quale si dice che salvò la vita, secondo alcune versioni avvisandolo di una imboscata che era stata preparata ai suoi danni dagli indigeni e, secondo altre versioni, si dice che Franco fu ferito da un proiettile ai testicoli, uno dei quali gli rimase strozzato, e che Margarita lo aiutò controllando la emorragia che probabilmente avrebbe potuto portarlo alla morte. Margarita era, secondo quanto si diceva, una tra le poche persone che osavano dare del tu al Caudillo anche in pubblico, forse per via del fatto che tenere tra le mani i testicoli del Generalissimo doveva essere considerato dallo stesso un merito sufficiente da garantire un certo grado di intimità..
Durante un soggiorno in Marocco divenne amante e confidente del caìd rifeno Abd el Krim, che aveva precedentemente conosciuto all’Hotel Alhambra a Granada e che, poco tempo dopo averla conosciuta le regalò un braccialetto da caviglia e un anello che recava l’incisione “ Pace nella nostra separazione “ (qualsiasi cosa possa significare) che Margarita conservò per tutta la vita.
Durante la relazione con Abd el Krim, conoscendo tutti i dettagli operativi dei preparativi della Spagna per reprimere la rivolta delle tribù che stava organizzando il Caìd contro il dominio coloniale, Margarita avvisò il suo amante, che ovviamente organizzò un’accoglienza adeguata alle truppe spagnole e quello che avrebbe dovuto essere un attacco a sorpresa divenne un’azione in cui i sorpresi risultarono essere gli spagnoli., e che diede come risultato il “disastro di Annual”.
Stiamo dunque parlando di una spia doppiogiochista, oltre che di una ribelle femminista che predicava che “ la donna non deve essere strumento di nessuno “, “ deve ricercare il suo proprio piacere e non quello dell’uomo”, “ deve partecipare alla vita attiva, alla politica, nel lavoro, nella lotta e non solo nel matrimonio “. Si vantava inoltre che nel suo letto fossero passati uomini di tutte le razze della Terra e che tutti i suoi problemi li risolveva tra le lenzuola. Era una donna considerata stravagante e che, per di più, fumava in pubblico, cosa che non era “ ben vista “ negli anni 50 dello scorso secolo, e che ancora oggi, sessant’anni dopo, continua a non esserlo. A causa di queste sue caratteristiche, anche negli stati sociali diversi o inferiori a quello aristocratico, cioè quello in cui normalmente si muoveva, di solito non veniva considerata una gran signora, quanto piuttosto l’esatto contrario.
La marchesa utilizzò sempre la seduzione, l’intelligenza e la sua gran bellezza per raggiungere i suoi scopi.
Durante le sue permanenze, tanto a Barcellona come ad Albacete, e verosimilmente anche a Madrid, la Marchesa organizzava spesso grandi feste alle quali erano presenti alcuni capoccia del “ Regime “, e si parlò persino della presenza di membri del clero.
Si raccontava, però a livello di commenti di strada, che in queste feste si celebrassero messe nere e sanguinosi rituali di magia che Margarita avrebbe avuto occasione di conoscere e apprendere durante i suoi viaggi in Africa. Dopo di che le feste sarebbero continuate con grandi orge che in alcuni casi sarebbero durate anche diversi giorni. Si vociferava che alle orge fossero presenti gruppi di prostitute (usanza che ancora oggi va per la maggiore, specialmente in ambiti politici, finanziari ed ecclesiastici).
Dato il livello e la categoria sociale delle persone che frequentavano la casa della Marchesa calò per molti anni, e forse per paura (quantomeno fino a che fu viva Margarita) un silenzio assoluto da parte delle persone che, senza dubbio, avevano avuto modo di vedere i fatti che si verificavano in detta casa. Parrebbe che sia esistito qualcosa come un patto segreto che in molti casi ha finito con l’essere rispettato.

Essendo Margherita stata sospettata di essere una spia doppiogiochista al soldo della Germania nazista, si prospettò l’ipotesi che i due misteriosi medici fossero in realtà degli scienziati nazisti sfuggiti dal processo di Norimberga, dove avrebbero dovuto essere condannati per crimini contro l’umanità, al pari del dottor Mengele. Si fecero addirittura due nomi, George Framremberg e John Schmidt, che avrebbero ricoperto il ruolo rispettivamente di colonnello e capitano delle S.S. Pare però che, sia questi nomi tedeschi, che quelli canadesi che utilizzavano per nascondere la loro reale identità, fossero falsi. Non sono stati trovati, negli elenchi dei nazisti sottoposti a giudizio durante il processo di Norimberga, nessun George Framremberg e nessun John Schmidt. Secondo la cosiddetta ipotesi nazista, i due, avrebbero lavorato ad Albacete allo studio di un veleno e del suo antidoto, al fine di sostituire la capsula di cianuro che utilizzavano i nazisti per darsi la morte una volta nelle mani del nemico o, secondo una diversa ipotesi che sembra preludere alla moderna paranoia complottista, ad un veleno inodore, incolore ed insapore da utilizzare per avvelenare grandi quantità di acqua.

Alcuni testimoni, tra i vicini interrogati anni dopo i fatti, confermano l’esistenza di questi due personaggi, che erano soliti entrare ed uscire di casa, senza porre particolare attenzione a non essere visti. Avrebbero frequentato con una certa assiduità il bar El Nido e sarebbero stati soliti uscire a fare due passi lungo Calle Mayor. Gli stessi testimoni parlano della donna come di una madre fredda e distaccata e di una moglie ossessivamente gelosa, e la descrivono con tratti che delineerebbero la follia. Pare che temendo che i figli cercassero di farla riconoscere non in possesso delle proprie facoltà mentali, per interdirla e appropriarsi del suo patrimonio, qualcuno l’abbia sentita pronunciare in diverse occasioni la frase, << Ti taglierò quelle mani. >>, o << Quelle dannate mani >>, o ancora, << Quelle mani di merda. >>, rivolta alla figlia Margot, immaginando che potessero essere proprio quelle (dannate) mani (di merda) a firmare la richiesta di interdizione.

Ma cosa accadde allora ad Albacete? Di cosa morì Margot? Venne sottoposta ad un esperimento dai due medici nordeuropei o teteschi ti Cermania? Volontariamente o inconsapevolmente? O forse venne contagiata inavvertitamente da qualche veleno utilizzato dai due dottori? Chi erano questi due medici? Cosa facevano realmente in Calle Mayor 58? E chi, e perché mutilò il cadavere di Margot?
La Marchesa era davvero dedita a culti satanici? Era affiliata a qualche setta, a qualche frangia della massoneria deviata? Da dove le giungevano le improvvise ed abbondanti quantità di denaro che puntualmente attribuiva alla vincita di qualche lotteria o al lascito di qualche lontano e sconosciuto parente? Era stata davvero una spia al soldo dei nazisti? Aveva dato ospitalità a due scienziati nazisti in fuga? Era vero che utilizzasse i cadaveri dei suoi cani per trafficare in diamanti e droga? O era solo totalmente matta?

La marchesa Margarita Ruiz de Lihory (in realtà fasulla marchesa e fasulla baronessa, in quanto sottrasse con la frode i titoli alla sorella maggiore Soledad, che ne sarebbe stata la legittima “proprietaria”) morì ad Albacete il 15 di Maggio del 1968. Basta.

A serious man

Partiamo dagli aspetti positivi. Se dovessi scegliere tra vedere “A serious man”, pur essendo ben conscio di quello cui sarei costretto ad andare incontro, e una martellata sui coglioni, certamente sceglierei “A serious man”, senza ombra di dubbio. Credo, in termini medici, si chiami “riduzione del danno”.
E così per altre sventure, come terremoti, cancro al colon, rinsecchimento delle proprie capacità virili e via discorrendo. Per tutto il resto, e lo consiglio a chiunque, eviterei quest’ultimo film dei fratelli Cohen come la peste.
E’ difficile pensare che stiamo parlando degli stessi fratelli Cohen che hanno scritto e girato Il grande Lebowsky, Fargo, e Fratello dove sei? Pare che i successi mietuti, immeritatamente, con l’imbarazzante Non è un paese per vecchi, debbano avergli dato alla testa facendo loro credere che qualsiasi storia gli passi per la testa diventi per forza un capolavoro.
Il loro cinema è sempre stato considerato un connubio perfetto tra comicità e senso del grottesco. Ora, in questo caso, per questo A serious man, la comicità è probabilmente intellegibile solo per qualcuno fortemente addentro alla cultura yiddish, anche se ho il dubbio che nemmeno Moni Ovadia lo troverebbe divertente. Per quel che riguarda il grottesco, ammettiamolo, è grottesco, ma privo di verve. Michael Stuhlbarg, il protagonista, attore con pochi ruoli all’attivo, non ha le caratteristiche né le capacità di un Jeff Bridges, di un George Clooney o di uno Steve Buscemi, e si limita a portare stampate in faccia una perenne espressione di stupore sconsolato che potrebbe stare bene in una filodrammatica o, al più, in un cinepanettone nostrano, alla Neri Parenti per intenderci. Gli attori minori sono relegati a ruoli minori e sostanzialmente ininfluenti. La storia, in pratica, è come non ci sia: le sfighe che capitano addosso al protagonista, una dopo l’altra, e la sua ricerca di una logica a ciò che gli capita tra capo e collo, ricerca se non grido di aiuto che spera di veder soddisfatto all’interno della comunità ebraica nella quale vive. Le risposte non arrivano, perché Dio è lontano, imperscrutabile, e non deve conto a nessuno di quello che fa. Fine.
Viene il dubbio che sia un film di svolta nella filmografia dei Cohen, e che non voglia essere comico grottesco, ma serio, pensoso, che voglia rivisitare una fase della vita di uno dei due, Joel o Ethan, o di tutti e due, ma in tutta sincerità non mi pare che abbia la profondità richiesta da un tentativo del genere. In più, a volte, durante il film, si ha l’impressione che si stia cercando di far ridere lo spettatore, o quantomeno sorridere, ma non so, non ne sono così sicuro. Comunque, nonostante le votazioni che si possono trovare su qualsiasi sito di cinema, e le recensioni ultrapositive, vi prego di crederci se vi dico che è una palla tremenda. Da evitare come le tasse, le buche per la strada, i testimoni di Geova e qualche altra calamità.

Leggerete, o vi diranno, che è bello, che un bel film, ha un umorismo sottile, che sono sempre i Cohen, i grandi Cohen. Non ascoltateli! Mentono, tutti!






Regia: Joel Coen, Ethan Coen
Sceneggiatura: Ethan Coen, Joel Coen
Attori: Simon Helberg, Michael Stuhlbarg, Richard Kind, Adam Arkin, George Wyner, Katherine Borowitz, Fyvush Finkel, Steve Park, Raye Birk, Amy Landecker, Stephen Park, Sari Lennick, Allen Lewis Rickman, Fred

lunedì 28 dicembre 2009

Sherlock Holmes (contro il Nuovo Ordine Mondiale)


Si potrebbe intitolare “ Sherlock Holmes contro il Nuovo Ordine Mondiale ” questa ultima trasposizione del più famoso investigatore di tutti i tempi (anche se, a ben vedere, credo che il primo posto se lo contendano lui e sir Mickey Mouse). Ha un violino tra le mani, talvolta, ma non lo suona in maniera neppure lontanamente convenzionale, si limita a tirarne fuori sinistri suoni dodecafonici. La sua forza è la logica deduttiva, come sempre, ma non disdegna di menare le mani, e lo fa anche con un certo argume cerebrale e non poca soddisfazione. Fuma la pipa, ma la usa anche come detonatore e riesce a non farne a meno neppure nelle acque gelide del Tamigi. Per fortuna non ha più in testa quell’orribile cappello che tanto lo ha caratterizzato. S’intende di chimica, ha un olfatto sopraffino e un sottile humor inglese, vive in un alloggio che è per metà “antro del mago” e per metà immondezzaio, sempre in procinto di fare qualche scoperta che cambi la storia del mondo, o quantomeno che cambi qualcosa. Testa i suoi esperimenti sul cane, che più che altro si limita a dormire, e s’ingegna nel boicottare il matrimonio tra il fido Watson (Jude Law) e la sua fidanzata (Kelly Reilly). Questo e qualcosa d’altro il nuovo Sherlock Holmes (Robert Downey Junior) in salsa Mister Guy Ritchie.
Studiato per dieci anni dal produttore Lionel Wigram (che ne ha anche tirato fuori un fumetto che ha funzionato da soggetto), il restauro del vecchio Holmes è la cosa più riuscita del film, e non è poco, considerando che il film è ben riuscito in toto. L’aggiornamento regala a Holmes tratti nuovi e moderni, pur rimanendo fedele alle caratteristiche che l’hanno reso famoso. Si ha l’impressione che se dovessero venir scritti oggi, i romanzi di Sherlock Holmes, lo dipingerebbero esattamente così, gentiluomo con le pezze al culo, malato di noia, geniale, canaglia e simpaticamente attaccabrighe. Sprezzante quel tanto che è consentito a chi è fuori dalla norma. E Holmes è esattamente così, al di fuori di tutto, forse anche della realtà, soprattutto della realtà. Quando non ha un caso per le mani si seppellisce nel suo studio in stato semicatatonico, o rischia di far saltare in aria mezza Londra seguendo i suoi esperimenti, forse neppure tanto improbabili. Watson, che per fortuna è stato interpretato da Jude Law e non da Gerard Buttler (troppo muscoloso, avrebbe finito per fare dei due una coppia di buttafuori con la passione per l’indagine deduttiva), come in un primo tempo doveva essere, è l’altra metà di Holmes, l’intelligenza che non si spinge al genio, ma che rimane ancorata alla realtà, ed è esattamente questo il suo ruolo, più che non esserne un contraltare è l’anello che tiene, con difficoltà, Holmes legato alla realtà. Watson è l’ultimo baluardo che divide il suo capo-amico dalla follia.
Non immaginatevi, come è stato scritto di trovare un Holmes donnaiolo, è solo un abile ammiccamento del trailer, ma non ha nulla a che vedere con la realtà del film. Holmes ha un debole per Rachel McAdams, simpatica ladra stile Moulin rouge, che a sua volta ha un debole per Holmes, ma il rapporto tra i due è sublimato da una sfida tutta cerebrale e di abilità, diciamo così, professionale. E questo è un altro dei punti a favore del film, e del personaggio, Sherlock è sempre perfettamente in bilico tra corporeità e violenza, e genio e deduzione. Forse l’anello debole è Mark Strong, nel ruolo del cattivissimo Lord Blackwood, più o meno ispirato ad Aleister Crowley, che più che essere cattivo pare essere serio, forse troppo serio, e considerando la somiglianza dell’attore con Stanley Tucci, solitamente attore da commedia, non è esattamente il massimo che ci si può aspettare da un cattivo che pretende di essere in stretti rapporti addirittura col diavolo in persona.
Per il resto si può parlare di un prodotto ben congegnato, dove la fotografia di atmosfera di Philippe Rousselot si completa alla perfezione con la computer grafica che ricostruisce con mano sicura una Londra d’altri tempi.
E infine, la storia. Non è la cosa più importante, anche se non è da sottovalutare. Holmes si trova a combattere contro la massoneria che infesta tanta parte della vita politica e non solo del Regno Unito (e non solo), e contro il progetto di mettere in atto l’oggi tanto temuto Nuovo Ordine Mondiale. Si direbbe che si racconta dell’altroieri per parlare dell’oggi, ma in maniera leggera, da film d’azione, adrenalinica come tutto il cinema di Guy Ritchie che qui fa un passo indietro e lascia da parte le sue storie ad incastro e i suoi montaggi vertiginosi, senza dimenticare però come si girano le scene di scazzottate come Dio comanda.
Se c’è un appunto che mi sento di fare è che, pur non mancando, mi sarei aspettato una maggior verve nei dialoghi, una manciata di battute da portarsi a casa e da utilizzare scherzando con gli amici. Sempre che uno li abbia, gli amici. Altrimenti, aspettate il sequel. Ci sarà anche Moriarty, che qui c’è, lo giuro, ma non si vede.



Regia: Guy Ritchie
Sceneggiatura: Mike Johnson, Anthony Peckham, Guy Ritchie
Attori: Robert Downey Jr., Jude Law, Rachel McAdams, Mark Strong, Eddie Marsan, Kelly Reilly, James Fox, Hans Matheson, Robert Stone, William Hope, Robert Maillet, David Garrick, William Houston, Terry Taplin
Fotografia: Philippe Rousselot
Montaggio: James Herbert
Produzione: Village Roadshow Pictures, Wigram Productions, Lin Pictures, Silver Pictures
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Paese: Gran Bretagna, USA 2009

venerdì 25 dicembre 2009

Fatti vostri

Bene, la buona notizia è che Babbo Natale esiste. La cattiva è che non esiste più. Insomma, esisteva. E’ esistito, ora è morto. E’ capitato nel Luglio di quest’anno, nei sobborghi di San Pietroburgo. Il 5 Luglio, esattamente.
Da tutto ciò se ne può facilmente dedurre due logiche conseguenze: 1) Babbo Natale non era una scaltra invenzione per divertire ed affascinare i bambini, né una semplice scusa per spendere uno o più stipendi in regali inutili, 2) evidentemente non era immortale.

Immagino che lui stesso si credesse immortale, quantomeno alla fine, forse perché era vivo da così tanto tempo da non avere neppure più un lontano ricordo di come fosse venuto a questo mondo e di come fosse diventato Babbo Natale, quel vecchio iperglicemico che tutti noi conosciamo e che gli animalisti hanno sempre contestato per l’uso improprio che faceva delle proprie renne, povere bestie. Comunque, nonostante quello che potesse pensare di sé stesso, non era immortale, e in un certo senso è anche giusto così, cioè rientra nella natura delle cose, che avesse anche lui una fine, una data di scadenza stampigliata da qualche parte sotto la barba. Tutti dobbiamo morire, tutti moriamo, chi prima chi dopo, ognuno a modo suo, in fondo perché lui non avrebbe dovuto?
Ciò che fa piangere il cuore è il modo. Non si può certo dire che si sia trattato di una morte naturale, a meno che per morte naturale non si intenda un pallottola calibro 9 piantata alla base del cranio. Diciamoci la verità, s’era messo in un brutto giro, era dal 25 Dicembre dell’anno precedente che frequentava troppo brutta gente. Era ormai qualche mese che giravano voci sinistre sul suo conto, preoccupate, e puntualmente sono state confermate dalla squallida fine che lo ha colto in una sala privata del night club “TettePazzeTette” di San Pietroburgo.

Secondo le ricostruzioni che sono state proposte, la più accreditata racconta che l’anno scorso, il 2008, Babbo Natale fosse il solito zuzzurellone, anche se non rideva più come una volta, questo a detta di chi lo conosceva da vicino. Non che fosse cambiato, ma qualcosa pareva preoccuparlo. Si dice, avesse problemi di prostata, e temesse di dover essere operato. Babbo Natale odiava gli ospedali, li ha sempre odiati, anche da giovane, al punto tale che, come è risaputo, non ha mai consegnato neppure un solo regalo al più disgraziato dei degenti. Non ha mai voluto mettere piede in un ospedale, e la sola idea di dover venire ricoverato, addormentato e aperto nelle sue parti intime lo terrorizzava. Certo, continuava a fare il gradasso, come gli era solito, a ruttare a bocca aperta durante i pasti e intonare canzoni sconce in presenze di minorenni, ma ora si trattava di un comportamento che sembrava sempre più forzato del solito, quasi recitasse. Comunque, a parte questi problemi di salute, che probabilmente non sarebbero stati in grado di portarlo alla tomba, per il resto, era il solito Babbo Natale. Il 24 notte aveva cominciato a frustare oltre ogni dire le sue renne e s’era messo in volo, sempre per la solita storia dei pacchi dono per i bambini buoni, e aveva cominciato il suo lavoro, se così vogliamo chiamarlo.
E come ogni anno, anche se di solito non ci si pensa, il suo viaggio ha un inizio in un posto ben preciso della terra e una fine in un altro posto ben preciso, sempre della terra. L’anno scorso, il 2008, l’ultima casa in cui si fermò fu una villa a San Pietroburgo. Era quasi l’alba, le renne erano stremate ed erano ormai buone, come ogni anno, per lo stufato di capodanno. Babbo Natale si fermò nel viale di questa enorme villa gelida e perfetta, e si mise d’impegno ad aprire la serratura coi soliti attrezzi del mestiere. Stava sudando le proverbiali sette camicie quando, finalmente, riuscì ad aprire la porta che dava sul giardino retrostante la villa, e fu allora che sentì un ululato squarciargli la testa e rimbombargli nel petto e, prima ancora di capire che si trattasse di un allarme, si ritrovò una decina di energumeni dal collo taurino e lo sguardo di cemento che lo indicavano in mezzo agli occhi, tutti quanti con canne di pistola al posto delle dita. Non so se c’entrasse la prostata, comunque Babbo Natale se la fece addosso.
La villa era di un oligarchica russo, uno di cui evito volentieri di fare il nome, con due figli di tre e sette anni e una moglie di un metro e ottantadue centimetri che, a dirla tutta, non aveva nulla a che vedere con Mamma Natale né con quelle casalinghe solitarie nelle mutande delle quali, a volte, Babbo Natale riusciva ad infilarcisi, quando era fortunato e sufficientemente alticcio.
“ Casalinghe disperate “, aveva brontolato una volta Mamma Natale, guardando la televisione mentre Babbo Natale cercava di sgusciare in casa senza farsi accorgere.

Comunque, Babbo Natale venne portato in uno sgabuzzino enorme, più o meno delle dimensioni di un hangar, semibuio e freddo, e legato ad una sedia che proveniva direttamente da un comitato di quartiere del vecchio Pcus. Provò a spiegare chi fosse e perché stesse cercando di entrare in casa, ma i mastodonti che lo controllavano a vista non parevano minimamente interessati a quanto aveva da dire. C’era da dubitare che fossero tutti sordi o, più probabilmente, del tutto idioti. Alla fine, si stancò, depose le armi e decise di tacere.
Fu solo alla sera del 25 che la porta dell’hangar si aprii ed entrò il padrone di casa, cioè l’oligarca di cui evitiamo di ricordare il nome.

Considerando che non ne facciamo il nome, né il cognome, né la data di nascita né altro che possa aiutare ad identificarlo, possiamo anche dirlo tranquillamente, più che oligarca era mafioso, volendo immaginare che esista una differenza di significato tra i due termini.

L’uomo, l’oligarca e/o mafioso, da qui in avanti lo chiameremo X. X si fermò a qualche passo di distanza da Babbo Natale e lo fissò intensamente, poi, lentamente si aprì in un sorriso, << Liberatelo! Non vedete chi è?! >>, ordinò. Quando Babbo Natale gli fu di fronte, visibilmente sollevato e con stampato in faccia il più classico dei sorrisi benevoli da vecchio bonario, in piedi, ad una distanza tale da potergli tendere la mano, X gli sferrò un calcio nei coglioni, << Questo perché potrai anche essere Babbo Natale o Mago Merlino o chi cazzo pare a te, ma in casa mia, se si vuole entrare, si bussa, e anche così non è detto che ti eviti una manica di botte per esserti osato a bussare. >>, poi si aprì in un sorriso finalmente definitivo e sincero, prese Babbo Natale da sotto le ascelle, lo tirò in piedi e lo abbracciò. Gli schioccò tre sonori baci, l’ultimo dei quali sulla bocca, << Benvenuto amico mio. >>
Gli offrirono, nell’ordine: vodka del Bisonte, vodka del Coriandolo, una bottiglia di Albe de dessert, birra di Ziguli, poi ancora vodka, questa volta del Cacciatore, seguita da vodka del Volga, vino rosso italiano, e una vodka tipica di San Pietroburgo. Quando ebbe finito non aveva neppure più idea della direzione in cui si trovasse il cielo e in quale l’inferno, e ovviamente non ricordava di aver mai posseduto delle renne, né a cosa gli potessero servire delle renne, se non per farne giacche invernali.
Le renne d’altra parte era un pezzo che erano passate a miglior vita, crivellate da colpi di kalashnikov.
Quando Babbo Natale si risvegliò, con una mal di testa terribile e lo stomaco contorto come un serpente del Congo, era la notte dell’ultimo dell’anno e non ricordava più dove si trovasse, solo capiva di essere in mezzo ad una festa. Fuori qualcuno sparava in aria, e le sue labbra erano stranamente avvinghiate al capezzolo rosa di una ventenne, mentre un’altra ragazza che non pareva avere molti più anni della prima gli stava a cavalcioni urlando sconcezze in russo e colpendolo sulla barba con degli schiaffi. A volte lo colpiva sul cucuzzolo della testa canuta. Babbo Natale valutò che doveva essere ubriaca persa, e proprio mentre s’incupiva, contrariato dallo stato della gioventù moderna, un’altra ragazza, questa non seminuda come le altre due, ma nuda completa, senza neppure una goccia di sudore addosso, gli tappò il naso, gli aprì voluttuosamente la bocca e gli versò dentro un sorso più che generoso di Vodka del cacciatore.
Da lì in poi fu un turbinio di dita che gli stringevano le cavità nasali, e capezzoli che gli s’infilavano tra le labbra, liquidi ad alto grado alcolico che gli scivolavano lungo la laringe e sederi che gli sobbalzavano davanti agli occhi e mani piene come coppe felici. Gli pareva di aver intravisto il padrone di casa, da qualche parte in fondo a quell’immensa sala, e una donna bellissima che a sua volta doveva essere la padrona di casa, bionda alta e popputa, algida, poi la testa aveva preso a fare strane capovolte e alla fine aveva sentito un suono sordo che doveva essere stato quello provocato dall’impatto delle sue ossa craniche col pavimento.

Quando s’era risvegliato non ricordava più nulla dei regali che avrebbe dovuto consegnare ai due bambini figli del mafioso, né del fatto, peraltro incontestabile, che la terra fosse rotonda, né dell’esistenza da qualche parte nell’universo di una donna conosciuta come Mamma Natale. Qualcuno l’aveva poggiato contro un muro, un muro coperto di stucchi d’oro e vetri a tutta parete, e lui per tutto ringraziamento se n’era scivolato in terra come un sacco di patate. S’era toccato in mezzo ai pantaloni rossi e aveva scoperto una larga macchia scura e ancora tiepida e così capì di essersi pisciato addosso un’altra volta, e stavolta non per la paura. Per quel che riguardava la prostata poi, neppure sapeva più cosa fosse e, se avesse avuto la certezza di averne avuta una, l’avrebbe immersa in un bicchiere di vodka del Bisonte e se la sarebbe scolata tutta d’un fiato. Davanti a sé, a qualche metro o chilometro di distanza, doveva esserci un paio di tacchi alti che si muoveva al ritmo confuso di un notturno di Chaicoskij rimixato con bassi da discoteca da un dj della capitale, un pazzo cocainomane che si faceva chiamare Andrè e andava in giro con due pistole e una scimitarra. Mettendo a fuoco, a fatica, ciò che si trovava all’interno delle scarpe a tacco alto, vide due lunghe gambe bianche e sottili e un sedere tondo che pareva intagliato in marmo di Carrara, coperto solo da un tanga rosso la cui superficie totale non doveva superare il centimetro quadrato. Le gambe gli si avvicinarono sempre di più, fino a che non vide scendere dall’alto un seno generoso e un paio di braccia che lo aiutarono a tirarsi in piedi. Fu una scena pietosa, perché ancora non riusciva a stare ritto da solo e continuava a scivolare in terra, come se non avesse una struttura ossea, e in più non riusciva a mettere insieme una parola con l’altra, ingarbugliava vocali e consonanti, pezzi di frasi con mezze parole masticate e sputacchiava in giro come un vecchio alcolizzato.
Le gambe e il seno e le braccia, e anche le scarpe a tacco alto, appartenevano ad una ragazza di una trentacinquina d’anni, laureata in fisica nucleare, che ebbe pietà di lui e se lo prese in casa. Lo piazzò su una sedia e lo riempì di cibi scongelati e alcolici dalla gradazione assurda, fino a che, una sera, presa da una vena di malinconia, gli fece provare una certa polvere bianca che, a dirla con Pollon, sembra talco ma non è, e ti dà, tin!, l’allegria. Lo iniziò al sadomaso e lo fece entrare nei circoli fetish di San Pietroburgo, fino a che, alla fine, vista la sua propensione per l’ambiente, gli diede la gestione del night club TettePazzeTette. Fu davvero la fine.

Non si vestì più di rosso, per non sembrare un vecchio comunista nostalgico, cosa che non era mai stato in vita sua dal momento che non gli era mai importato un fico secco della politica, e prese ad indossare rigidi gessati Dolce e Gabbana, a fumare Cohiba rollati sulle cosce calde di vergini cubane e a giocare grosse somme alle corse dei cani. In men che non si dica, possedeva una squadra di calcio piena zeppa di brasiliani e gente dai cognomi che gli suonavano stranamente famigliari.
Stava per entrare nel giro che conta, cioè quello del petrolio, quando un sicario lo freddò all’interno del suo stesso locale. Era quasi perennemente impegnato in certe acrobazie con robuste ragazze di campagna che avrebbero potuto essere le sue pronipoti, e col cervello obnubilato da droghe e alcool. Non si rese conto di nulla quando la pallottola gli attraversò il cranio e si andò a piantare nel pavimento del suo ufficio, e non si chiese chi diavolo potesse avere interesse a mettere fine alla sua parabola esistenziale in questo mondo, non se lo chiese perché erano troppi, e tutti senza scrupoli.
Le ultime due parole che gli passarono per la testa, appena prima della pallottola, furono “ Mamma “ e “ Natale “, un unico veloce lampo di terrore e ancora una volta la vescica gli cedette, in perfetto sincro col passaggio della pallottola nel suo cervello, e si trovò a morire nella propria urina.

Dunque, Babbo Natale non era immortale. Babbo Natale se la faceva spesso addosso, almeno negli ultimi tempi. Babbo Natale, comunque, è esistito, anche se… Vabbè, meglio lasciar perdere.
Ora stanno preparando magliette e bandiere, accendini e via discorrendo, tutti con su stampata la faccia stilizzata di Babbo Natale, perché pare che vogliano farlo passare come l’eroe di una nuova rivoluzione popolare. Non voglio saperne di più. Forse non era un santo, va bene, ma ridicolizzarlo come icona di qualcosa che non esiste, questo non lo voglio nemmeno sapere.
Quello che deciderete di raccontare ai vostri figli, a questo punto, sono fatti vostri.

sabato 19 dicembre 2009

Una poltrona per due

Quaggiù, dallo Sprofondo, o dagli Scarichi, come preferite, per uno strano sistema di rifrazioni ottiche su pozze d'acqua stagnante, riesco a vedere benissimo i programmi televisivi. E' complicato, ma è così. A volte vorrei che non fosse così, quasi sempre vorrei che non fosse così, ma è così, purtoppo.
Ora, quaggiù non si ha la percezione dello scorrere del tempo - una cosa magnifica, ve l'assicuro - ma ho visto che tra poco trasmetteranno Una poltrona per due, con Eddy Murphy e Dan Ackroyd.
E' quasi Natale, vero?

E la foca?

In questo documentario, The Bridge (di Eric Steel. Documentario, durata 93 min. - USA, Gran Bretagna 2006. - Videa - CDE), che parla della gente che si suicida dal Golden Gate Bridge, intervistano gli amici ed i parenti di quelli che sono stati filmati a suicidarsi durante l’anno 2004, 24 persone, con la media di due al mese. Il Golden Gate Bridge, per chi non lo sapesse, è il luogo al mondo dove percentualmente la gente preferisce suicidarsi. Ognuno coi suoi buoni motivi.
Intervistano questo ragazzo, giovane, un po’ teso, con una strana barbetta rossa sotto il mento.
Lui, s’è buttato giù dal ponte, ma non appena s’è staccato dal parapetto e s’è ritrovato nel vuoto ha pensato che in realtà voleva vivere, mica morire, e non capiva bene perché diavolo si fosse cacciato in quella situazione. Prima di buttarsi, era lì che si faceva forza per mettere in atto la decisione che ormai aveva preso, e una signora tedesca lo chiama, lui piangeva, lo chiama e gli chiede se le può scattare una foto. Il ragazzo le fa la foto, e la saluta, poi si butta. E quando sta cadendo non vorrebbe più trovarsi lì ad ammazzarsi, allora si dice, << Magari se entro di piedi… >>

Entra di piedi, s’affossa nell’acqua ben in profondità, anche più di dieci metri, ed è ancora vivo, allora adesso deve nuotare il più velocemente possibile per risalire perché se no, anche se è atterrato vivo, finisce che muore annegato, che è anche peggio. Arriva a vedere la luce, si dice Ce l’ho fatta, ma non è ancora arrivato, quando sente qualcosa che gli gironzola attorno.
Ecco, dice, mi sono salvato fino a qui, il salto, la risalita, e ora arriva uno squalo e mi divora. Poi non si ricorda più.
Tempo dopo gli dicono, non era uno squalo. Era una foca che gli ha girato attorno e l’ha tenuto a galla fino a che non sono arrivati i soccorsi.
E il ragazzo dice, Solo dopo ho scoperto che era una foca e non uno squalo, e racconta che la foca gli ha salvato la vita, almeno in quell’ultimo tratto, poi dice, credo che sia intervenuto Dio.

E la foca?

giovedì 17 dicembre 2009

ANTICO ARAMAICO

Pare, che un tipo, un antico aramaico, un commerciante di cui ignoriamo il nome in quanto non è riportato nelle cronache dell’epoca che abbiamo avuto modo di consultare, venisse posseduto da un demone. Non si specifica, quale demone.
Quest’uomo, antico aramaico, si mise a parlare, pare, in una lingua sconosciuta. Questa lingua, che nessuno tra i contemporanei dell’uomo riuscì a decifrare, a leggerla oggi così com’è riportata nelle cronache dell’epoca, ha tutta l’aria di essere castillano corrente.
Direbbe, il posseduto, a leggerlo oggi come castillano corrente, << Saben de que ganas tengo hoy? De fumar un buen cagnone, tengo ganas.>> (Sapete di cosa ho veramente voglia, oggi? Di fumarmi un bel torbone, ho voglia.), direbbe il posseduto se parlasse, come effettivamente sembrerebbe parlare, castillano corrente e un tantino gergale, << Y tengo ganas tambien de tirarme dos gemellas con de las grandes tetas, esto quisiera! >> (E ho anche una gran voglia di scoparmi due gemelle con delle grosse tette, ecco cosa vorrei!)

All’epoca, però, nessuno poteva capire cosa stesse dicendo l’antico aramaico, il commerciante, e risultava del tutto inintellegibile quello che diceva, così decisero di aprirgli il cranio per fargli uscire il demone, che uscì.

Ode alla lapdancista metropolitana

Nel notturno roboare
Della metro
Sensualmente lei strusciava
L'ampio suo didietro
Contro un palo nella notte
Un po' di poppa, un po' di potta
Eccitava gente a frotte
Tiratardi da ribotta
Poi passava un poco chioccia
A mano tesa
Per mettersi in sacoccia
La sudata sua resa
Si rimise su il paltò
E con l'ano intirizzito
E coi soldi dell'affitto
Ancheggiando se ne andò

mercoledì 16 dicembre 2009

Io, mi preoccuperei.

Non ci si capisce più nulla, almeno da quaggiù. Non so voi come la viviate, là sopra. Io, comunque, per non saper nè leggere nè scrivere, mi preoccuperei.
Sta succedendo qualcosa. E' vero che in qualche maniera succede sempre qualcosa, ma in questo caso sta succedendo qualcosa di più strano del solito, qualcosa che potrebbe evolversi in qualcos'altro, qualcosa di per nulla bello.

B viene sfregiato, e va bene, ma come? Durante un suo comizio, tra i suoi discepoli adoranti, dopo le sue dichiarazioni semifolli al Ppe, il giorno dopo le manifestazioni in memoria della strage di Piazza Fontana, e giusto a Milano. Un gruppetto di contestatori viene lasciato giungere fin sotto il palco, mentre in altre manifestazioni del Pdl la gente veniva fermata anche solo se ai margini della piazza, anche solo se in possesso di un giornale legale e legittimo come Il Fatto Quotidiano. Questa volta no, fin sotto il palco arrivano. Prima della manifestazione B si confida con Bonaiuti e gli confessa di avere paura che succeda qualcosa di brutto, però alla fine scende in mezzo alla folla e se ne frega delle sue sensazioni preveggenti. Si dà in pasto. Gli arriva il duomo in faccia, la scorta finalmente ha una reazione, lo mette in macchina e lui cosa fa? Ne esce, si guarda in giro, o si mostra in giro. Ora, una scorta, soprattutto iperprofessionale come quella di un presidente del consiglio, nel momento in cui si verifica un problema di sicurezza, neppure un attentato, ma la sola eventualità di un attentato, deve prendere in mano la situazione. Subito. Da quell'istante ogni decisione passa immediatamente dal protetto ai bodyguard. Da quel momento in poi la volontà del protetto non conta più nulla, e i bodyguard possono e, anzi, devono fare qualsiasi cosa per portare il proprio protetto al sicuro, e farcelo rimanere. Pure stordirlo con un pugno in testa e portarlo al riparo, se necessario. Per B non funziona così. Un uomo di 70 e passa anni vuole guardarsi in giro per cercare l'aggressore e la scorta glielo lascia fare. E se si fosse trattato di qualcosa di più serio e ci fosse stato un altro attentatore in combutta col primo pronto a sparare?
Poi, due persone presenti al comizio, notano Tartaglia, per loro è pericoloso e sospetto, e avvisano le forze dell'ordine, ma gli agenti non fanno nulla. Ancora, un uomo del Pdl afferma di aver visto Tartaglia insieme ad un altra persona.
E lo sguardo di Tartaglia: follia o ipnosi? Le frasi, " Non sono io. Io non sono nessuno. ", " Sono meglio di lui. ": domanda voleva mettere bene in chiaro subito di essere matto?
Uno come lui, era davvero così difficile da manipolare? Voleva essere famoso coi suoi quadri di luce, non ce l'ha fatta, e voleva notorietà, era così difficile intercettarlo e fargli recitare il ruolo dello zimbello?
Poi, il duomo, il souvenir scende verticalmente sul volto di B, ma il taglio più profondo è di sbieco. Normale?
Nei giorni successivi esplodono un paio di ordigni al Cie di Gradisca d'Isonzo e alla Bocconi, rivendicate dalla Federazione Anarchica Informale. E chi sarebbe questa Federazione? Di nuovo anarchici, come per Piazza Fontana, però informali questa volta.
Nei giorni precedenti, credo due, il Giornale pubblica un articolo contro il signoraggio bancario: sono quelli i veri nemici di B?
E le amicizie pericolose di B con Putin e Lukaschenko? Certo danno fastidio in ambienti non solo nazionali.
Non era già successo che B avesse ricevuto minacce, avesse dovuto dormire fuori dalla sua normale residenza? Si. E perchè queste minacce non lo hanno reso più guardingo e attento?
Nella notte, questa notte, uno tizio di 26 anni, di Torino ha cercato di infiltrarsi al San Raffaele, per raggiungere la stanza di B. In macchina aveva mazze da golf e coltelli. Era un anarchico informale, un matto, un uomo di Al Qaeda, un vetero comunista?

Quindi, a tutto ciò e a molto altro che ancora non sappiamo, reazione:
stretta a internet, l'unico mondo dei media non in mano a B, l'unico che con il No B Day fosse riuscito a fare un minimo d'opposizione,
stretta della libertà di manifestare dissenso nelle piazze. Avevano già pensato a pretendere che non si potessero più svolgere manifestazioni nei pressi di Chiese, cioè, a dire, in Italia, dappertutto.
Già con la legge 24 Febbraio 2006 n.85, in G.U. del 13 Marzo 2006, si privano le istituzioni dello Stato della dovuta tutela, dal momento che prevede che gli atti contro l'integrità dello Stato debbano essere non solo idonei e diretti, ma anche violenti. Cioè, fino a che non tento un colpo di stato, non sono un pericolo, posso tramare quanto voglio, purchè non usi la violenza.
In più, i militari è già da tempo che sono in giro per le strade, fino ad ora per garantire la pubblica sicurezza, ma in Italia la tentazione del colpo di stato non è certo una novità e tutte le volte c'erano pezzi da novanta dei corpi militari.

Dicevo, io, non so, da quaggiù, l'idea che ci si può fare è che siete abbastanza nella merda, che i servizi segreti in questi giorni si stiano dando un gran da fare e che, prima o poi, qualcosa capiterà.
La cosa assurda è che tornano le bombe, i sotterfugi, i misteri, addirittura gli anarchici, ma ora che non ci sono più i fascisti, non ci sono più i comunisti, a chi si darà la colpa?

lunedì 14 dicembre 2009

Il corpo e il sangue di B. - 14.12.09

Avevo sentito correttamente, anche da quaggiù. Qualcuno ha usato una statuetta del Duomo di Milano per colpire il volto B.

C'è stato chi ha commentato «Un uomo in sofferenza psichica ha colpito un'altro uomo in sofferenza psichica che credeva di essere invincibile anche durante i bagni di folla. Tutto qui»
Io aggiungo, uno psicolabile si è fatto degno rappresentante di un paese, l'Italia, in una forte crisi psichica, se non addirittura nevrotica. Quello che interessa non è, in questo momento, se l'aggressore fosse solo o manipolato (se fosse stato condizionato psichicamente ad alti livelli comunque non lo sapremmo mai), perchè 30 uomini di scorta non sono serviti a nulla, non ci interessa neppure sapere se B stia bene o meno, quello che è importante è lo scenario simbolico e di dramma psicologico all'interno del quale si è svolto il fatto.
Siamo a Milano, e viene usato un souvenir del Duomo di Milano, il simbolo della città, non uno dei vari aggeggi che si portava in tasca il Tartaglia (crocefisso, bomboletta spray, un cuneo di plexiglass), bensì il Duomo.
Una volta assicurato alle forze dell'ordine ed agli inquirenti, Tartaglia afferma << Non sono io. Io non sono nessuno. >>, e poi, << Io sono meglio di lui. >>, e infine << Odio B >>.
Traduzione, << Anche un signor nessuno è meglio di B, e io odio B perchè è peggio di me, solo che lui è presidente del consiglio. >>
Cioè il paese è meglio di chi lo governa. Anche uno psicolabile, in quanto parte del paese, è meglio di chi il paese governa e rappresenta. Tartaglia, ci dice, neppure io sarei andato a sproloquiare a Bonn, neppure io sarei andato in sede europea a fare le corna, a provarci coi ministri donne degli altri paesi, neppure a me sarebbe passato per la testa di andare in visita da Lukashenko, neppure a me sarebbe venuta l'idea di mettermi in casa un mafioso per curarmi il giardino.

Poi abbiamo B che si tira in piedi, sul predellino, e si guarda in giro, mettendosi in mostra, lasciando che le telecamere e la gente possano vedere la ferita e il sangue. Il corpo ed il sangue di B, appunto.
Abbiamo visto i capelli che sono ricresciuti, sulla testa di B, la pelle che è tornata tesa come quella di un ragazzotto, ma per la prima volta ne vediamo il sangue. Prima potevamo chiederci "se questo fosse un uomo", adesso possiamo dire che lo è, ha il sangue che gli scorre sottopelle. E' umano come tutti noi.
Non è solo unto dal Signore, non è solo invincibile. E' carne e sangue. Si è offerto, in piazza, davanti al suo popolo, ha versato il suo sangue, si è rialzato, ha voluto che tutti avessero ben presente questo aspetto, era lui che si stava sacrificando. Per cosa?
Per noi? Per sè stesso? Per la follia di un individuo? Per la follia di un paese in piena crisi identitaria e schizofrenica?
Tartaglia si è sacrificato, cioè ha sacrificato la sua libertà, la sua fedina penale e, anche, ha messo a rischio la sua salute (consideriamo il rischio di linciaggio), per abbattere il moloch che si contrapponeva alle sue aspettative, o alla sua follia. Due santi, pronti a sacrificarsi in pubblica piazza, l'uno a versare il sangue dell'altro. Il corpo di B ne esce glorificato, circonfuso da un'aura di santità, appunto, di preveggenza (Bonaiuti si è premurato di raccontare che B aveva previsto tutto) e di cristica volontà di sacrificio.
Quello di Tartaglia pure, in un certo senso. Ma Tartaglia non ha versato il proprio sangue, Tartaglia non è un corpo mediatico, lo è diventato solo per pochi attimi, poi è scomparso, portato via dalle forze dell'ordine. Tartaglia non è Che Guevara, non lo vedremo sulle bandiere, non è Corona e non metterà in commercio una sua linea di mutande. D'altronde, lo sbandierare continuo di B di essere nella storia, di essere il migliore che la storia d'Italia ha avuto, di essere lui stesso la storia, non è un invito implicito a vedere il profanare il suo corpo come il profanare il corpo della storia? Come un modo per entrare nella storia?
Mi pare uno psicodramma perfetto, il giorno dopo l'anniversario di Piazza Fontana, la cosiddetta strage di Stato, a Milano, davanti ad un palcoscenico adorante, il sangue che sgorga e macchia il selciato.
Ma in fondo, non sono psicodramma anche quelle massaie che ad ogni apparizione pubblica urlano, lo vogliono toccare, baciare, come se fosse un santo? Non è psicodramma anche lo stesso B che si vanta delle sue conquiste sessuali, scherzando che anche dall'estero ci sono turiste pronte a raggiungere il Bel Paese solo per poterlo testare sessualmente? Che effetto fa tutto ciò nei Fantozzi che tutti noi siamo e continuiamo ad essere? Aggiungiamo, nello nganga psicomediatico, minorenni, spionaggio, mafia, processi, leggi, calcio, televisione... Ecco, televisione... Media... Ma siamo sicuri che tutto questo non sia solo televisione, che non sia un Truman Show all'italiana? Siamo così sicuri da poter mettere la mano sul fuoco che questa sceneggiatura drammaturgicamente perfetta non sia già stata scritta? Per Piazza Fontana, nessuno poteva credere ci fosse dietro lo Stato. Qualcuno non ci crede neppure adesso, o finge di non crederci.
E anche questo, il dubbio, il complottismo,l'analisi dei filmati per cercare la prova di un complotto ordito a tavolino, non è forse già stato tutto messo in conto?

Certo l'aggressione è tornata più utile a B che a chiunque altro. Ora è il Cristo sfregiato di un'Italia impazzita, il re demente di un impero di massaie in menopausa. Il suo sangue ci ha resi suoi sudditi. Prima ci ha chiesto di riconoscerlo come dio, poi ha versato il suo sangue per suggellare il patto diabolico. Non c'è Spatuzza che tenga, ormai siamo suoi.

Voi, siete suoi, io me ne sto quaggiù. Al buio si sta bene.

Comunque, l'unica cosa certa è che i souvenir del duomo di Milano sono andati a ruba. E se fosse stato tutto architettato dai veditori di souvenir?

domenica 13 dicembre 2009

Non sono io. Non sono nessuno. - 13-12-09

Non vorrei avere frainteso, ma mi pare di aver sentito parecchio sconquasso questa sera lassù. Se non ho capito male, ci dev'essere stato qualcuno, un terrorista, o un pericoloso psicolabile, che ha lanciato qualcosa in faccia a qualcun'altro.
Al duomo di Milano, o giù di lì, un duomo di Milano.
Un casino.
Il tizio che si è ricevuto in faccia il pacchettino dev'essere il signor B.

Peccato, proprio adesso che stava risistemando la situazione economica di questo paese, e la morale, proprio ora che il Milan stava cominciando ad ingranare. Speriamo si riprenda presto.



DALL'ANSA, 13 Dicembre, 21:39:

IL FERMATO: MASSIMO TARTAGLIA - Si chiama Massimo Tartaglia ed ha 42 anni l'uomo che ha ferito il premier Silvio Berlusconi questa sera dopo il comizio in piazza Duomo. Come precedenti risulta alla polizia solo il ritiro della patente per motivi di viabilità. Dopo il fatto è stato portato via dalla polizia, che lo ha sottratto alla rabbia della gente, senza profferire parola. Tartaglia risulta sconosciuto alla Digos. Risiede nell'hinterland milanese. L'uomo è in cura da 10 anni per problemi mentali al Policlinico di Milano. Lo si apprende da fonti investigative.

Secondo quanto risulta in Questura, Massimo Tartaglia non sarebbe legato a nessuna organizzazione antagonista conosciuta. La dinamica dei fatti, peraltro, agli investigatori appare al momento più vicina ad un gesto isolato che ad un tentativo di aggressione organizzato. L'uomo si trova in questura, sentito dai funzionari della Digos che hanno contemporaneamente avviato una perquisizione nella sua abitazione a Cesano Boscone (Milano).

Massimo Tartaglia lavora come grafico nella ditta del padre e, secondo quanto si e' appreso, conduce una vita sociale normale. E' stato lui stesso a dire agli investigatori, che lo sentivano in questura, di essere in cura al Policlinico. Ora l'interrogatorio dovrebbe essere condotto direttamente dal procuratore aggiunto Armando Spataro capo del pool antiterrorismo.


Attenzione! Potrebbe trattarsi di un integralista islamico sotto mentite spoglie, di un ballerino anarchico, di uno psicolabile manipolato dai servizi segreti. Non si sa mai. O di uno che ne aveva le palle piene, sono tra i più pericolosi, occhio.

Inizio trasmissioni

Sono le ore 21:00 di una Domenica di Dicembre, parrebbe essere un 13 Dicembre a voler dar retta a quanto riportato dal mio Palm Tungsten T30, dell'anno di grazia 2009, e posso affermare con orgoglio che hanno inizio le trasmissioni di radioVDS.
Non è una radio, è un blog, qualunque cosa sia un blog.
VDS sta per VociDagliScarichi. "Le voci" sono la mia, di voce, "gli scarichi" è il posto in cui mi trovo. Più che un novello "Memorie dal sottosuolo", direi che potrebbe il primo "Urla dalle fogne" del nuov millennio, calzerebbe a pennello, ma non troppo, credo. Meglio "Voci dagli scarichi".

Da quaggiù dove mi trovo, qualcosa sento, qualcosa percepisco del mondo di lassù, non molto per la verità, ma qualcosa si. Abbastanza per farmi venire il ghiribizzo di aprire le trasmissioni e lanciare qua e là nel cyberspazio (credo si dica così) le mie sensazioni, i lampi che mi pare di scorgere, le urla che credo provengano dall'alto. Volendo, potrei descrivere il rumore che fanno le vostre suole sopra la mia testa, ma non potrei comunque essere certo del numero, ad esempio, adesso direi che sono un paio di Adidas numero 38, ma potrei sbagliarmi, potrebbe anche trattarsi di Nike numero 40. Non è mai così chiaro. E poi un 32, ignoro la marca, comunque un bambino, o bambina, o un nano.
E' molto buio, quaggiù - non essendo chiaro - e i rumori giungono attutiti, però non fa freddo.
Buffo, uno direbbe che in un posto del genere debba fare un freddo cane, da ghiacciarsi le ossa, e le chiappe, invece no. Al contrario, c'è un caldo da morire, almeno all'inizio, poi, poco alla volta ci si abitua a tutto, anche alla temperatura. Il peggio non è il caldo, e non è la solitudine, nemmeno il buio a volerla dire tutta, il peggio è tutt'altro, è il non capire cosa succede lassù.

Qui, se Dio vuole, non succede niente.