I DOTTORI SONO BUONI QUI, E I TOPI ANCHE, E GLI INFERMIERI. NON MI POSSO LAMENTARE.
POTREI ESSERE CHIUSO NEL GUSCIO DI UNA PICCOLA NOCE E SENTIRMI IL RE DELL'UNIVERSO, MA FACCIO BRUTTI SOGNI, E POI SENTO SEMPRE QUELLE MALEDETTE VOCI DAGLI SCARICHI, CHE NON TACCIONO.

mercoledì 29 febbraio 2012

Hysteria, di Tanya Wexler

Questo film, una corpoduzione tra Gran Bretagna, Francia e Germania, oltre ad essere un piccolo gioiello è indubitabilmente la pellicola col più alto tasso di gambe spalancate senza per questo essere un porno. Di più, non ha nulla di volgare nè di pruriginoso. Anzi, è divertente, leggero ed impegnato al contempo. Con impegnato non intendo dire che sostenga la battaglia - sacrosanta - di chi gira un film per difendere la giraffa nana dell'Antartide occidentale messa a rischio dal riscaldamento globale e dalle troppe sedi di MacDonald aperte in loco. Si tratta di un impegno diverso, un impegno su una lotta che altri hanno combattutto e, se Dio vuole, vinto. Che la scienza ha vinto in una strenua battaglia contro sè stessa, una scienza, ci mostra il film, un tantino sbilenca, sia quella vinta che quella vittoriosa. Sbilenca vista da qui, dal nostro punto di vista, attraverso la lente degli anni che sono trascorsi. Una battaglia che ha partorito risultati importanti e liberatori, ma un tantino differenti tra loro. L'abolizione (col tempo, non subito, nel 1952) della diagnosi di isteria femminile legata a... più o meno tutto... stress, depressione, stanchezza, rabbia, e via e via e via. E, in secondo luogo, l'altro risultato, quello che più rende appetibile e divertente il film ai palati anche meno sopraffini: il vibratore. Il film ci mostra come nasce l'invenzione di quello che oggi è comunemente conosciuto come vibratore (in spagnolo, impagabile: consolador). Nasce in ambito medico, nell'ambito della medicina dell'epoca che curava (o credeva di curare) l'isteria femminile del titolo. nasce da un medico che a furia di massaggi vulvici (o vaginali o come diavolo si chiamavano) si trova a non poter più usare appieno il proprio braccio destro. Quindi viene partorita da un medico con un braccio menomato da troppe vagine isteriche e dal cervello di un amico del detto medico (l'eccellente e miracolosamente uguale a sè stesso Rupert Everett), un nobile annoiato ed appassionato di elettricità (i primi telefoni, piumini rotanti per la polvere e via discorrendo).

 Quello che resta è un medico (e soprattutto un inglese) vecchio stampo, sono due sorelle troppo diverse l'una dall'altra, così diverse da essere esattamente agli antipodi, sono una società che cambia troppo in fretta e al contempo troppo lentamente, in maniera troppo radicale a livello sotterraneo e per nulla o quasi a livello di convenzioni sociali, quello che resta è l'eterno duello tra forze innovatrici e forze conservatrici, tra uomini e donne, tra poveri e ricchi ed è soprattutto il medico - il protagonista del film - che si trova nel mezzo di tutte queste tensioni che si sviluppano (e si avviluppano) con forza inaudita ma sempre in punta di fioretto, come se si trattasse di una discussione tra gentiluomini all'ora del thè. Quello che resta è la condizione delle donne in un epoca non troppo lontana dalla nostra, e dei poveri, e delle donne povere, è la visione del sesso di un'intera società divenuta famosa per il detto "niente sesso, siamo inglesi", e delle nevrosi che tale rinuncia alla giocosità dello stesso porta inevitabilmente con sè.
  Che dire? Magnifiche le scenografie. Ottima la sceneggiatura che gioca sui toni della commedia senza scadere nell'ovvio o nel volgare, che ammicca all'impegno sociale senza per questo divenire tediosa nè tantomeno didascalica. Buone le interpetazioni, supportate da una regia classica ma solida e dal lavoro fatto dagli sceneggiatori sui dialoghi e sulla rotondità dei personaggi.
  Una commedia divertente, seria, compatta, come sanno fare gli inglesi, come una volta, con altre caratteristiche, sapevamo fare anche noi, prima di essere invasi da cinepanettoni, notti prima degli esami, commediucole adolescenziali, e checchizaloni vari.
  Consigliatissima.


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Hysteria

Un film di Tanya Wexler. Con Maggie Gyllenhaal, Hugh Dancy, Jonathan Pryce, Rupert Everett, Ashley Jensen.
continua»
Titolo originale Hysteria. Commedia rosa, durata 100 min. - Gran Bretagna, Francia, Germania 2011. -

venerdì 17 febbraio 2012

Kosmos, di Reha Erdem (2010)

  Un tizio si trascina in una steppa innevata fino a giungere ad una città (o cittadina o centro abitato): praticamente è come se ci cadesse dentro. Come prima cosa cerca una pietra ai lati del fiume sotto la quale nascondere un mazzo di banconote, giusto quando nelle acque gelide del fiume scorre il corpo di un bambino. La sorella del bambino, dall'altro lato del fiume, urla. Il tizio si getta tra le acque e recupera il bambino, se lo stringe al petto e lo scuote, emettendo urla insensate che paiono essere una via di mezzo tra l'urlo di un muhezzin e il verso di mille ghiandaie impazzite. Il bambino è sano e salvo e la sorella se lo porta via. Siamo in una qualche cittadina turca presumibilmente ai confini con la Russia, un posto molto bello e terribilmente freddo. Il padre del bambino salvato trova il tizio e lo ringrazia mettendosi a sua disposizione perchè abbia da mangiare ed un posto dove dormire lontano dai rigori del gelo. Il tizio, di tanto in tanto, incrocia la sorella del bambino salvato e - semplicemente - si rincitrullisce, prende ad emettere il suo verso assurdo e, cosa ancora più ridicola, lei gli risponde a tono, vale a dire emettendo versi strani pure lei. Una scappa, l'altro la insegue, e quando si trovano (quando cioè lei si lascia prendere) si girano attorno l'un l'altro e fingono di mordersi mimando qualche danza animalesca non ben chiara. In un'occasione nel corso del film, vincono la gravità e volano in giro per la stanza dove il tizio - Kosmos - ha trovato dimora. Il padre della ragazza e del bambino salvato - che indoviniamo essere vedovo - lavora in un macello, e la regia ci porta spesso sui primissimi piani delle bestie, sui loro occhi, e sui loro corpi squartati (il padre risponde alla figlia che gli domanda se le bestie sanno di dover morire, che loro sono pure contente di doverlo fare, perchè quello è il loro ruolo). Poi c'è il bar, che è il punto d'incontro di molte delle storie (storie?) che s'intrecciano nel film, dove Kosmos dovrebbe darsi da fare per guadagnarsi due soldi come cameriere-tuttofare ed essere accettato dalla comunità, ma dove in realtà non combina nulla. Gli avventori, tutti vecchi, continuano a sostenere che la loro città è abitata solo da persone buone e che, da loro, il male non attecchisce. Però in sottofondo sentiamo in continuazione rumori di aerei e di bombe, come se una battaglia si stesse svolgendo nelle vicinanze e si stesse, poco alla volta, avvicinando. Oltre alla bella ragazza che ulula e che pare essere l'unica a capire in qualche maniera Kosmos, ci sono un bambino che non parla e lancia pietre (e viene sonoramente pestato dai suoi coetanei), una donna che zoppica e che si fionda in farmacia a comprare dei medicinali non appena le è possibile, ma che puntualmente viene riportata indietro da una parente non meglio specificata, una maestra con vent'anni di insegnamento sulle spalle che arriva in città e che non è esattamente felice di essere finita in culo al mondo (non usa proprio queste parole), un gruppo di fratelli che se ne vanno in giro con la bara del padre morto sulla macchina e incolpano uno di loro della morte del genitore, delle oche che se ne vanno in giro per i vicoli sculettando sul ghiaccio (sequenza magnifica!) e un vecchio catarroso. Ora, oltre a non avere una gran voglia di lavorare, come risulta evidente innanzi tutto al barista, che presto si stufa di regalargli tazze di thè e di cercare di convincerlo a lavorare per lui (o per chiunque altro), Kosmos ha la malsana abitudine di rubare. Tra l'altro ruba mazzette di soldi che puntualmente gli vengono sottratte o che lui stesso cede ad altri. Si nutre di thè e zucchero. E straparla. Non che gli altri abbiano un eloquio anche solo vicino alla normalità (quantomeno per gli standard europei) ma lui veramente è di fuori, pare un predicatore sotto acido e, dopo aver infilato un paio di frasi una di seguito all'altra (frasi che paiono sentenze e tirano in ballo Dio, il creato, la morte, il vento e via discorrendo) la gente che dovrebbe ascoltarlo getta la spugna e si mette a fare altro o a pensare ai fatti propri. L'aspetto positivo di Kosmos, altrimenti un semplice bon savage un po' (e non solo un po') tocco, è
che pare avere dei poteri taumaturgici o qualcosa del genere. La gente comunque lo considera uno sciamano. In realtà dal film non è così chiaro se, a parte il fatto che ad un certo punto vola (ma con lui pure la ragazzina), abbia realmente dei poteri. Potrebbe trattarsi di fatti  più o meno casuali che la gente interpreta come connessi ad una qualche capacità particolare dello stesso Kosmos. A volte, si arrampica sugli alberi. Poi, mentre cerca di guarire un bambino, che in realtà ha solo smesso di parlare perchè si sente in colpa per aver annegato un gattino, il cielo viene attraversato da una scia di fuoco. Il bambino lo interpreta come il segno che aspettava per poter tornare a proferir favella, e tutti e due seguono la scia di fuoco fin nella steppa, dove trovano un qualcosa (un aggeggio, un coso, forse roba militare forse no, boh?) caduto dal cielo. Il bambino alla fine muore. Finelmente parlando, ma comunque muore. Per Kosmos si mette male e in seguito ad altre faccende deve scappare dal villaggio, inseguito dalla gente e dall'esercito, e si ritrova più o meno dove era partito, in mezzo al bianco più assoluto, da solo, fuggendo più che altro dalla sua follia. Kosmos è una sorta di Rasputin mezzo scimunito che, immagino, voglia simboleggiare qualcosa: la forza vitale e selvaggia, l'inconsapevolezza della purezza, il non senso della vita... vai a sapere, ma onestamente non è un personaggio poi così indimenticabile. Anzi, terminato di vedere il film, si fa tutto il possibile per rimuoverlo dalla propria memoria. Ma il film, per fortuna, non è solo Kosmos. Non è solo la sua trama, che è come se non ci fosse o, essendoci, rimanesse volutamente incomprensibile, di modo che lo spettatore possa provare l'esperienza inebriante di sentirsi un perfetto imbecille. Per fortuna c'è la fotografia, che è straordinaria, ci sono i posti (il villaggio microcosmo al cui interno vigono regole che in un orizzonte più ampio neppure lo spettatore più malleabile potrebbe accettare come verosimili), le immagini ed una regia di tutto rispetto, a tratti veramente notevole. Diciamo che, lo stesso film, girato a Quartoggiaro, dopo cinque minuti uno si alza e se ne va.
  Rimane il rimpianto che, qualora il regista avesse optato per dei dialoghi anche solo un poco meno deliranti e magari avesse dato un impianto appena più razionale alla storia, sarebbe potuto essere un capolavoro.