I DOTTORI SONO BUONI QUI, E I TOPI ANCHE, E GLI INFERMIERI. NON MI POSSO LAMENTARE.
POTREI ESSERE CHIUSO NEL GUSCIO DI UNA PICCOLA NOCE E SENTIRMI IL RE DELL'UNIVERSO, MA FACCIO BRUTTI SOGNI, E POI SENTO SEMPRE QUELLE MALEDETTE VOCI DAGLI SCARICHI, CHE NON TACCIONO.

martedì 29 dicembre 2009

A serious man

Partiamo dagli aspetti positivi. Se dovessi scegliere tra vedere “A serious man”, pur essendo ben conscio di quello cui sarei costretto ad andare incontro, e una martellata sui coglioni, certamente sceglierei “A serious man”, senza ombra di dubbio. Credo, in termini medici, si chiami “riduzione del danno”.
E così per altre sventure, come terremoti, cancro al colon, rinsecchimento delle proprie capacità virili e via discorrendo. Per tutto il resto, e lo consiglio a chiunque, eviterei quest’ultimo film dei fratelli Cohen come la peste.
E’ difficile pensare che stiamo parlando degli stessi fratelli Cohen che hanno scritto e girato Il grande Lebowsky, Fargo, e Fratello dove sei? Pare che i successi mietuti, immeritatamente, con l’imbarazzante Non è un paese per vecchi, debbano avergli dato alla testa facendo loro credere che qualsiasi storia gli passi per la testa diventi per forza un capolavoro.
Il loro cinema è sempre stato considerato un connubio perfetto tra comicità e senso del grottesco. Ora, in questo caso, per questo A serious man, la comicità è probabilmente intellegibile solo per qualcuno fortemente addentro alla cultura yiddish, anche se ho il dubbio che nemmeno Moni Ovadia lo troverebbe divertente. Per quel che riguarda il grottesco, ammettiamolo, è grottesco, ma privo di verve. Michael Stuhlbarg, il protagonista, attore con pochi ruoli all’attivo, non ha le caratteristiche né le capacità di un Jeff Bridges, di un George Clooney o di uno Steve Buscemi, e si limita a portare stampate in faccia una perenne espressione di stupore sconsolato che potrebbe stare bene in una filodrammatica o, al più, in un cinepanettone nostrano, alla Neri Parenti per intenderci. Gli attori minori sono relegati a ruoli minori e sostanzialmente ininfluenti. La storia, in pratica, è come non ci sia: le sfighe che capitano addosso al protagonista, una dopo l’altra, e la sua ricerca di una logica a ciò che gli capita tra capo e collo, ricerca se non grido di aiuto che spera di veder soddisfatto all’interno della comunità ebraica nella quale vive. Le risposte non arrivano, perché Dio è lontano, imperscrutabile, e non deve conto a nessuno di quello che fa. Fine.
Viene il dubbio che sia un film di svolta nella filmografia dei Cohen, e che non voglia essere comico grottesco, ma serio, pensoso, che voglia rivisitare una fase della vita di uno dei due, Joel o Ethan, o di tutti e due, ma in tutta sincerità non mi pare che abbia la profondità richiesta da un tentativo del genere. In più, a volte, durante il film, si ha l’impressione che si stia cercando di far ridere lo spettatore, o quantomeno sorridere, ma non so, non ne sono così sicuro. Comunque, nonostante le votazioni che si possono trovare su qualsiasi sito di cinema, e le recensioni ultrapositive, vi prego di crederci se vi dico che è una palla tremenda. Da evitare come le tasse, le buche per la strada, i testimoni di Geova e qualche altra calamità.

Leggerete, o vi diranno, che è bello, che un bel film, ha un umorismo sottile, che sono sempre i Cohen, i grandi Cohen. Non ascoltateli! Mentono, tutti!






Regia: Joel Coen, Ethan Coen
Sceneggiatura: Ethan Coen, Joel Coen
Attori: Simon Helberg, Michael Stuhlbarg, Richard Kind, Adam Arkin, George Wyner, Katherine Borowitz, Fyvush Finkel, Steve Park, Raye Birk, Amy Landecker, Stephen Park, Sari Lennick, Allen Lewis Rickman, Fred

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